domenica 21 ottobre 2012

Settecento (giusti giusti)

Foto by Leonora
Per fortuna non esistono compleanni per i blog, altrimenti diventerei rosso: mi sono ricordato soltanto ora che le mie "20righe" il primo ottobre scorso hanno compiuto cinque anni tondi tondi, un lustro. Non esistono compleanni per i blog e neppure cerimonie per le cifre tonde dei post, altrimenti ora starei spegnendo settecento candeline, una per ogni pagina che ho scritto. Una montagna immensa, che a guardarla da quassù fa venire il capogiro tanto è alta, imponente e incredibile è pensare che l'abbia costruita tutta io, che se l'avessi immaginato, all'inizio, dal tremore non mi sarei neppure cimentato. Invece eccomi qua, cinque anni e settecento post dopo, assai più di un libro, il libro che mai scriverò e che ho giá scritto. La cosa che mi stupisce di più, lo ammetto, è rileggerlo. Mica tutto, che ci vorrebbe un mese, ma a spizzichi e bocconi, un po' come capita, per caso. La maggior parte delle volte non mi ricorso nulla, tanto che la sorpresa è massima e mi perdonerete la vanitá se scrivo in tutta sinceritá che quasi sempre il commento tra me e me è questo: "Caspita, ma che bella cosa che ho scritto!!??". Nove volte su dieci non mi sembra vero che a scrivere sia stato io, tanto che se non le trovassi qua, sul mio blog, ma le leggessi da qualche altra parte, non rivendicherei alcun diritto e mi limiterei ad applaudire beato, invidiando lo sconosciuto autore che invece sono proprio io. Chissá se per gli scrittori è lo stesso, se rileggendosi a distanza di anni provano il medesimo rinnovato stupore che provo io, nel mio piccolo. Devo ricordare di chiederlo la prossima volta che ne incontro uno.
Intanto, per confermare ciò che ho scritto e celebrare in qualche modo questa doppia ricorrenza, scelgo dal mazzo e ripubblico proprio uno di quei post in cui sono incappato ieri l'altro e che non avrei affatto riconosciuto. Ha per titolo "I giusti che salvano il mondo", parla di una domenica di maggio dell'anno scorso e cita una poesia di Borges che è un incanto. Consideratelo il mio regalo di buon compleanno.

lunedì 15 ottobre 2012

Nel mio piccolo

Foto by Leonora
In meno di ventiquattro ore oltre cinquanta persone hanno sottoscritto una frase che ieri sera ho scritto senza pensarci troppo, lì per lì, su Facebook. Le parole esatte erano: "Non so se esiste la decrescita felice ma la crescita infelice é stata per lungo tempo un dato di fatto. Forse é venuto il momento di rimettere in ordine le priorità. Meno soldi, potere, beni materiali, più amicizia, convivialità, cultura...".
Il limite di certe frasi a effetto è che raramente il principio si declina nel concreto, mentre io nel mio piccolo, vorrei farlo. Vorrei comprare soltanto le camicie che mi servono e mai più fare un acquisto solo perché si trova in saldo o scontato del cinquanta per cento (potrei elencarvi almeno dieci boiate comprate all'outlet o al grande magazzino di turno, che mi sembravano un affarone e poi, una volta tornato a casa non le ho più tolte dall'armadio). Vorrei prestare più libri e farmi prestare più cd. Vorrei cenare più spesso dagli amici e averli ospiti a mia volta, un giorno alla settimana fisso (o anche due, che di ospitalità non è mai morto nessuno); vorrei piantare più verdure nell'orto e mettere una serra, così non ho venti chili di pomodori tre settimane all'anno ma mezzo chilo la settimana da maggio a ottobre; vorrei riciclare l'acqua piovana che scende dal tetto e tornare ad avere le galline, come quando ero bambino, anche se poi non ci sarebbe nessuno disposto a tirar loro il collo, ma almeno avrei le uova a chilometro zero (ora sono a chilometro uno, nel senso che scrocco quelle che mi porta Fulvio). Vorrei continuare a fare vacanze escludendo alberghi di lusso, possibilmente in bungalow di legno (adoro le case di legno) e senza pasto incluso, che così si mangia anche il giusto, senza abbuffarsi "tanto è già pagato"; vorrei vedere le partite della Juventus con la casa piena, che io a Sky non rinuncio (un vizio! non fumo, non bevo, non scommetto, non pago dolci compagnie o altro, ma il satellite no! concedetemelo!) così almeno qualche amico può risparmiare e venire a vederlo da me, senza pagare biglietto e magari - se proprio proprio - porta una torta fatta in casa da dividere in compagnia. Vorrei accontentarmi dei bicchieri scompagnati e non vergognarmi se quando ci sono ospiti non ce n'è uno uguale all'altro e il servizio completo s'è rotto da un pezzo. Vorrei avere poco ma quel poco condividerlo appieno, senza alzare steccati, aprendo a tutti la mia casa e mettendo in tavola una brocca d'acqua e, finché posso, un dito di vino, con un po' di pane e salame o formaggio, come mi hanno insegnato i parenti valtellinesi di mio padre. Vorrei accontentarmi di quello che prendo di stipendio e accettare l'idea che domani potrei anche a rinunciare a una parte di esso, pur di continuare a fare un lavoro che mi piace e che mi costa metà fatica pur se sono impegnato il doppio.
Queste e altre mille cose vorrei, per cominciare a cambiare il mio, d'un mondo, anche se non sono mai stato eccessivamente avaro o prodigo e la brama di potere non è tra i difetti di cui subisco il fascino, così come il desiderio di beni materiali, tanto che a parte le spese ordinarie di gestione famigliare non spendo gran che e potrei vivere tranquillamente un'esistenza da monaco (con Sky, mi raccomando).

mercoledì 10 ottobre 2012

Fiero di lei

Foto by Leonora
Da quattro o cinque giorni covava qualcosa e sbuffava quanto una mantice. Una locomitiva, meglio, anche se - per motivi giorni prima evidenti e poi via via sfumati - dallo scorso fine settimana non c'eravamo scambiati verbo. Così quando ieri sera l'ho vista attraversare tutta la sala, afferrare il microfono e chiedere la parola mi sarei voluto fare piccolo piccolo e scomparire persino, temendo che fosse fraintesa o che vista l'ora tarda e il clima torrido della serata la pazienza del pubblico fosse ancora più labile e poco propensa ai distinguo e alle provocazioni fuori tema (in certe circostanze la platea è una tigre, assai più propensa ad azzannare che ad essere addomesticata). Man mano che parlava tuttavia, mi rendevo conto di quanto il mio timore fosse meschino e il suo ardire evidente, limpido, contagioso persino.
Il soggetto è mia moglie, Isabella, e il contesto il consiglio comunale aperto indetto dal sindaco Palamara per spiegare le ragioni della chiusura delle scuole di via Bulgaro e l'ammassamento improvviso, improvvisato e provvisiorio nella struttura di via Volta. Una serata a cui ho partecipato per non tradire le aspettative di Isabella, appunto, e di mio figlio maggiore, Giacomo, che ha un senso civico inversamente proporzionale alla passione per la matematica.
Ora, della serata in sé non ho molto da dire. Quattro o cinque cose al massimo, a mo' di appunto.
Primo: osservando le reazioni della gente m'è parso di cogliere una rabbia, un'insofferenza, pronta a sfociare addirittura in violenza. Ormai si percepisce chiunque come "casta" dappertutto e come mi diceva Martina a pranzo, quest'oggi, "in ogni politico vedono Fiorito".
Secondo: il torto maggiore del sindaco credo sia stata la poca chiarezza e i molti punti interrogativi di tutta la faccenda, che hanno portato a una discussione surreale per qualunque osservatore esterno. Un po' come chiedere a un bambino: vuoi più bene al papà o alla mamma?
Terzo: se tutto fosse chiaro e alla luce del sole, non c'era neppure da discutere. Il sindaco nel maggio scorso, prima delle vacanze estive, avrebbe chiamato i genitori, informato dello stato della struttura di via Bulgaro e ordinato verifiche puntigliose sullo stabile, in modo da arrivare a inizio settembre con una relazione tecnica esaustiva e decidendo insieme il dà farsi, se chiudere la scuola e procedere immediatamente ai lavori oppure, in caso di nessun pericolo, avviare tranquillamente le lezioni. Così non è stato: per mesi non hanno detto nulla, poi ad agosto inoltrato la decisione e a settembre la sorpresa.
Quattro: i tempi della decisione, i modi e la scarsa informazione hanno portato il sospetto che oltre la nobile facciata dell'attenzione per la sicurezza degli innocenti si celasse un'astuta (apparentemente astuta) scelta politica, cioè quella di un valzer degli edifici scolastici, ungendo la volontà amministrativa con il fenomenale balsamo della necessità tecnica.
Quinto: più che i disagi, decisiva in questi giorni mi pare esser stata la sensazione di esser presi in giro che accomuna molti genitori. Nessuno sano di mente può infatti biasimare una scelta che va nella direzione della sicurezza, ma se sento che questo è il tranquillante per far passare altre decisioni sopra la mia testa, allora mi arrabbio e mi impunto, pretendendo chiarezza.
Per il resto, concordo con quello che ha detto Isabella, la cui scintilla che ha scatenato il sacro fuoco è stata la visita che ha fatto ieri pomeriggio nel cantiere quasi ultimato della biblioteca, che il sindaco vuole trasformare cocciutamente in scuola. "E' bellissima, un gioiello" dice Isabella, che a differenza mia non ha abbandonato la speranza che il primo cittadino si ricreda, che non compia lo scempio di fare come si fa con i vestiti vecchi, ricavando un paletot da una giacca o mettendo insieme una scarpa e una ciabatta.
"Cambiare la destinazione d'uso significa affossare definitivamente la possibilità che nel centro di Lurate sia piantato un seme di conoscenza, di dialogo, di incontro, di cultura". Questo ha detto Isabella, senza badare al fatto che sulla persona Rocco Palamara non abbiamo pregiudizi, che per noi è un onore avere per amica sua moglie Teresa e i suoi figli Giuseppe e Simone e anche lui, che abita dirimpetto a nostra cognata ed è sempre cortese, gentile. Però se come sindaco sbaglia non glielo mandiamo a dire. Mia moglie più di me, perché oltre ad esser più chiara è pure più coraggiosa ed è anche in momenti come questo che io sono fiero di averla sposata.