sabato 4 agosto 2012

Maria Castelli e il Gazzettino Padano

Non ho visto alzabandiera né ho sentito squilli di tromba, fanfare, neppure un colpo di gong o un campanellino, di quelli che trillano quando agli angeli spuntano le ali. Forse però mi sono distratto io, che a Como ormai metto piede di rado oppure è semplicemente lei ad aver voluto così, cercando notizie per tutta una vita e rifuggendo una sola cosa: di diventare notizia lei stessa.
Maria Castelli, giornalista de La Provincia e corrispondente da Como per la Rai dal primo luglio è andata in pensione e a me già manca. La sua voce soprattutto, con la quale sono cresciuto, considerandola un po' una mamma, anche se lei resta giovanissima e all'anagrafe potrebbe essermi sorella maggiore. Non ricordo nulla che facesse arrabbiare mio padre più di quando tardava a tornare per pranzo, il cui inizio era tassativamente fissato per le dodici e dieci: a quell'ora infatti a Radio Rai scattava la sigla zufolante del Gazzettino Padano (ch'era padano ben prima che la Lega pensasse di trasformare una terra in nazione). Dei conduttori non ho memoria ma di un paio di corrispondenti sì, eccome. Avevano una voce che ascoltata una volta non la scordavi: Renato Possenti da Bergamo, Renato Andreolassi da Brescia e appunto Maria Castelli da Como. Destino ha voluto che prima la conoscessi accanto a un letto d'ospedale, dove i nostri figli erano ricoverati, poi che facessi il suo stesso mestiere, infine che diventassi persino suo collega e caposervizio anche, proprio a La Provincia, per quegli scherzi della vita in cui i meriti sono capovolti. Ecco perché non avendolo letto da nessuna parte lo scrivo io ch'è andata in pensione, togliendomi il cappello in segno di rispetto, se solo un cappello l'avessi.
Maria mi ha insegnato moltissimo e sono certo che continuerà a farlo, non riuscendo lei a stare con le mani in mano ed essendo giovanissima tra qualche giorno, al massimo qualche settimana, troverò ancora sul giornale sue notizie. Essendo umana non è esente da difetti, tra i quali ce n'è uno molto femminile: le sceneggiate a lama di coltello, cioè senza urla ma a singhiozzo strozzato, con di solito la frase: "una cosa del genere non mi era mai successa...". Una mezza dozzina di volte di queste scene madri sono stato io la causa, quando per distrazione o per superficialità non mi sono comportato come avrei dovuto, scatenandone l'ira sommessa e il dispiacere. In ogni occasione tuttavia abbiamo fatto la pace, io riconoscendo il torto e lei tagliando via la parte offesa, come direbbero i nostri nonni. La volta che mi tenne il muso più a lungo - lo ricordo come fosse oggi - fu quando a coronamento di una rubrica settimanale che iniziava a scrivere sul giornale pubblicai una sua fotografia senza avvisarla. Apriti cielo! Per un'intera settimana non riuscii a parlarle perché, come ho detto, nulla la manda su tutte le furie più di diventare ella stessa notizia, essendo cresciuta ad una scuola scevra da inutili protagonismi. Perciò so benissimo che quando leggerà queste righe si indispettirà non poco, ma è un rischio che devo correre, poiché è giusto che i più giovani conoscano almeno un riflesso del molto che ha ancora da insegnare. Da lei personalmente ho imparato che un bravo cronista (cronista non è sinonimo di giornalista, bensì è un tipo particolare di giornalista, quello appunto che fa cronaca) è un cane sciolto, che non accetta di appartenere a circoli o consorterie, coltiva sempre le sue fonti, facendo mille telefonate, macinando chilometri, non limitandosi mai ai comunicati stampa, cercando ogni giorno almeno una notizia originale, che nessun altro ha o dà. A tutto ciò lei ha sempre saputo aggiungere il gusto del raccontare e specialmente sulla carta è un talento non disprezzabile. Perciò aspetto di tornare presto a leggere ciò che scrive, anche se i tempi del Gazzettino Padano non torneranno più, così come i pranzi con mio padre e le parole con troppe persone care. Ma questo lo sa anche lei, che dalla vita ha avuto mille gioie ma pure i dispiaceri più grandi. Grazie ancora di tutto Maria e scusa per tutte le volte che ti ho fatto arrabbiare. A volte non l'ho fatto apposta a volte sì, come adesso, però ti voglio sempre bene.