sabato 20 novembre 2010

Il piede storto


Ci sono giorni che cominciano così, col piede storto. Oggi era uno di quelli, fin da quando sono uscito di casa, poi in redazione, dove sono stato più intrattabile d'un riccio spinoso. Non mi andava bene nulla, vedevo nero dappertutto. Cercasi disperatamente una mano di bianco. Possibile che sia solamente io esigente, severo nel giudicare quello che faccio, che potrebbe essere fatto molto meglio? In particolare in questi giorni ce l'ho con quanto è scontato, con i nostri cliché mentali, con l'abitudine e l'assuefazione al percorrere il sentiero conosciuto, alla mancata voglia e volontà di mettersi maggiormente in discussione, di sperimentare vie, di capovolgere il tavolo e provare a inventarsi un mondo nuovo. "Gli innocenti non sapevano che quella cosa era impossibile e la fecero". Perché non possiamo noi? Di cosa abbiamo paura, cosa ci induce a restare legati a una corda, a tenere il freno tirato? Fretta. Fretta di fare, di concludere, di decidere. Desiderio di chiudere le caselle della tombola una ad una, così da arrivare alla svelta a un risultato, qualunque esso sia, un tanto al chilo, tanto siamo pagati lo stesso, anzi - se facciamo bene, ma impiegando più tempo - anche meno. Dov'è la passione? Dov'è il fuoco che ci spinge a migliorare, a sfidare noi stessi ogni giorno, a innamorarci di ciò che mettiamo in pagina e che il mattino successivo finisce in mano a migliaia di persone, una platea tanto grande che se solo ne avessimo cognizione, autentica consapevolezza, dovremmo metterci in ginocchio e piangere, di commozione o tremare, per lo stupore? Ci rendiamo conto della fortuna che abbiamo, della bellezza del mestiere che abbiamo lottato per fare ma, riconosciamolo, per tutti noi è arrivato in dono? Non basta mettere parole l'una in fila all'altra, riempire spazi bianchi, cogliere il primo frutto che pende dall'albero. O il nostro è un concerto, una sinfonia, un immenso quadro, un piccolo capolavoro quotidiano o non è nulla, carta che va al macero. Questa è la verità. E chi non lo capisce, penserà sempre che fare il giornalista è semplicemente un lavoro, scollegato dalla vita, da cedersi per soldi o baratto. Domani pomeriggio andrò a parlare a una tavola rotonda sul futuro della nostra professione, su studi e mestieri della comunicazione. Speriamo che l'amarezza e il cinismo si sciolgano, non ho intenzione di portare a lungo il broncio con me stesso, anche se non è così automatico farsela passare, nascondere tutto alzando semplicemente il tappeto e gettandoci sotto con la scopa lo sporco.

Foto by Leonora

1 commento:

Wilma ha detto...

Come ti capisco! Proprio ieri, in ufficio, ho fatto una scenata delle mie per gli stessi motivi che tu elenchi. Coordino un'area e spesso sono davvero sgomenta per il presappochismo che trovo, per la mancanza di passione, di slancio, di amore per la propria professione.
A volte mi sento anche una privilegiata perchè quei sentimenti albergano ancora in me...