giovedì 29 luglio 2010

Testa e croce


Angelo me ne ha parlato per due anni. Conoscendolo come amico scevro da entusiasmi o infatuazioni, alla terza volta che capitava mi sono detto che forse la persona di cui parlava meritava d'essere incontrata. Così gliel'ho chiesto ed abbiamo organizzato. Ho incontrato Ilario Testa un mese fa, ieri è morto. Di lui mi resta un'intervista e il ricordo di una persona fuori dal comune e la sensazione che averlo incrociato proprio poco prima che se ne andasse non sia stato casuale, bensì un segno, come se il destino mi avesse affidato il compito di conservarne memoria. Ripenso alle tante cose che mi ha detto, cercando di distillare il tutto e trarne qual è stata la sua lezione più importante, il messaggio nella bottiglia che m'ha affidato. Non ci riesco. Forse occorrerà del tempo: in fondo anche i messaggi nella bottiglia sono speciali proprio perché si scoprono dopo che sono rimasti per settimane o mesi o anni in mare, cullati dalle onde dell'oceano. Buon viaggio, Ilario.

Foto by Leonora

sabato 24 luglio 2010

Cuor che dona


Lo abbiamo trovato a duemila metri, andando quasi a bussare alla sua porta. Ci ha aperto anche se di chiacchierare non ha sempre voglia, ma quando lo fa contagia d'entusiasmo e gli escono parole in piena, come le cascate d'acqua poco lontano, a mezza costa. Il suo nome è già un programma: Silvano, abitante dei boschi. Gli alberi però finiscono dove ha rifugio lui, all'alpeggio Vignone: quattro baite in croce, a strapiombo sulla montagna. Silvano tutto l'anno fa il poliziotto in Svizzera, al tunnel del Gottardo, anche s'è nato e abita ancora in Valtellina. Appena può, scappa in altura, senza niente attorno se non una radio a onde medie e la natura. Silvano è stata la più bella scoperta degli ultimi tre giorni, trascorsi a Prà Maslino, sopra Berbenno, il paese di mio padre. Per raggiungere Vignone occorre un'altra ora di salita, zaino in spalla. Là pascolano le mucche e si domina la valle intera. In giro, giovedì scorso, non c'era anima viva. Quando ci siamo avvicinati per abbeverarci alla fontana, ha aperto la porta e abbiamo iniziato a chiacchierare, fin che ci ha offerto caffé e cioccolato per i bambini e un goccio di vino nella scodella, come s'è sempre bevuto in compagnia, e anche grappa, che fa lui, distillando l'uva di Maroggia. Silvano non teme la solitudine e guardandoci con due occhi d'un azzurro ch'è una meraviglia, ci ha detto una frase che non vogliamo dimenticare. Perciò l'appuntiamo qua. E' stata la sua risposta quando gli abbiamo detto che non potevamo accettare, che ciò che per noi era poco (tornando a breve nel mondo del supermarket, dove per trovare ogni cosa basta allungare la mano e prendersela) per lui era moltissimo e che se l'avesse offerto a noi, lui sarebbe rimasto presto senza. "Cuor che dona non è mai povero" è stata la sua replica. Silvano dei monti ha scoperto e ci ha insegnato il segreto della ricchezza vera.
Foto by Leonora

domenica 18 luglio 2010

Sentimenti alla griglia


Grigliate, tre sere su quattro. Una settimana così non la ricordavo da un pezzo. Chiedo scusa al fegato, ma preferisco avere cuore e recuperare un po' del tempo perduto, affannato per il lavoro e troppo pigro da sfidare il freddo insolito di giugno. Giovedì sono tornato tardi, però i commensali sono stati generosi: m'hanno tenuto da parte tre pezzetti di maialetto, cucinato alla sarda da Salvatore, marito di Simonetta, graditissimi ospiti insieme con i miei tre cognati. Ieri invece è stato il nostro turno, ospiti a Vedano di Italo e Giovanna, che ci hanno rifocillato con una varietà di carni da far impallidire chi vive in Argentina (paese in cui, pur tra mille traversie, non hanno mai conosciuto la fame, grazie ad un'abbondanza che gli fa arricciare il naso se si trovano nel piatto pollo o maiale, conoscendo solo le virtù del manzo). Stasera infine festa grande ancora a casa nostra, con una sorta di Ferragosto anticipato e adunata di parenti e gli amici più cari di mio padre: lui non c'è più, il suo spirito resta nella convivialità di chi gli voleva bene e nei gesti che gli erano cari. Il barbecue è un momento di socialità conosciuto ad ogni latitudine, anche s'è nel mondo occidentale che diventa rito, abbinando cibo genuino, cucina tradizionale (cuocere la carne sulla brace è forse il piatto più antico del mondo) e soprattutto pensieri tra amici, conversazione lieve e profonda insieme. Un aspetto questo che ho rivalutato recentemente, essendo prima scontato e - come ogni cosa scontata - poco apprezzato. Giovedì mi ha commosso l'amore fatto di poche chiacchiere e molto esempio tra Simonetta e Salvatore. Lei, anni fa, per colpa della varicella, è stata in coma settimane e settimane. Poi s'è ripresa, cambiata però nel profondo. La malattia qualcosa le ha dato (una memoria prodigiosa, una curiosità che sfoga leggendo centinaia di libri e una dolcezza squisita) e molto le ha tolto (parla velocissimo e cammina a fayica, assai piano). Salvatore l'è stato accanto allora e lo è pure adesso, senza ostentazioni né lamentele, con una naturalezza che sta tutta nelle parole con cui mi ha risposto, quando gli ho fatto notare che ammiro ciò che fa, confidandogli che probabilmente non avrei fatto altrettanto. "E perché? - m'ha risposto lui, serafico e placido - Quando ci si vuole bene, è normale".

Anche ieri sera, quando persino del dolce non era rimasta più traccia nel piatto e nel bicchiere c'era soltanto un dito di limoncello, la discussione ha lasciato le vie del frivolo per incanalarsi nei vicoli della fede e del dubbio. Mi ha stupito l'ardore di Maurizio, che ho conosciuto quest'anno perché suo figlio giocava a calcio con il mio ed è persona brillante e apparentemente dissacrante su tutto. Ho scoperto che invece va a messa tutte le mattine e non passa giorno senza che reciti il rosario. Italo taceva, Piero interveniva di tanto in tanto e io, come loro, ascoltavo, sentendomi distante - è vero - da quel modo di credere dove la religione lambisce i confini del magico, eppure nel contempo assai rispettoso e incuriosito. Stasera non so ancora di cosa parleremo, sono tuttavia certo che se avrò orecchie buone e animo disponibile, imparerò qualcosa dai vari Filippo, Ambrogio, Amelio, Carla, Iole, Paola... Sono vecchi amici di famiglia ma non amici vecchi: pur raccontando sovente gli stessi episodi, ogni volta rinnovano il repertorio e alla fine, senza mettere annunci pubblicitari, ti ritrovi sereno, lieto, allegro. Il tutto compreso nel prezzo.
Foto by Leonora

mercoledì 14 luglio 2010

Bella scoperta


L'aria condizionata in auto d'estate e la coperta elettrica per quando si va a letto, d'inverno. Distanziati, di molto: il computer portatile, il decoder di Sky che registra, il navigatore satellitare, il forno a microonde, l'Ipod... E' la mia personale classifica delle invenzioni dell'ingegno umano che ci hanno reso migliore la vita e certo ne dimentico qualcuna. Se il conto viene esteso poi all'ultimo secolo, l'elenco è strabiliante. Basti pensare all'automobile, all'aereo, al telefono, all'energia elettrica, al riscaldamento delle abitazioni, all'acqua corrente nelle case. Siamo seduti su una miniera d'oro e non ce ne rendiamo conto. Non sono le cose più importanti, è vero: ci sono i sentimenti, i valori, le passioni, gli ideali, compagni di viaggio da quando l'uomo è uomo. Però sarebbe ingratitudine verso coloro che ci hanno preceduto non riconoscere quanto siamo fortunati, quante comodità in più abbiamo. Lo penso ogni volta che faccio un lavoro pesante e torno in casa sporco, stanco, sudato, mentre faccio la doccia: la maggior parte delle persone a questo mondo non può permetterselo. Stasera, con Loris e Roberta, parlavamo dell'abbondanza in cui crescono i nostri figli, delle difficoltà per loro di apprezzare il molto che hanno non avendo mai vissuto con il poco. Un concetto banale. Meno invece se lo si declina guardando i bambini pigri e indolenti sul divano. Mi consolo pensando che il mio timore è il medesimo che avranno avuto i miei genitori, quarant'anni or sono. Il progresso può averci portato in dono mille comodità, senza tuttavia toglierci un'oncia delle preoccupazioni che padri e madri hanno sempre avuto pensando ai loro cuccioli d'uomo.

Foto by Leonora

martedì 13 luglio 2010

Andar per osterie (Liguria, ponente)


Sapore di mare, meglio se accompagnato da un vinello bianco, fresco, leggermente fruttato. Sono reduce da un fine settimana in Liguria, con un caldo boia ma un paio di locali da annotare, grazie a Sara, che prima di trasferirsi a Torino, collaborava con il Corriere di Como. Ricordavo che il suo fidanzato Luigi era di Pietra Ligure, così prima di partire le ho scritto, sfruttando le potenzialità del social network: se si hanno amici in quasi ogni posto è facile farsi consigliare e così evitare di prendere cantonate. Segnalati a mia volta da Sara, dopo averli provati, cito qui due ristoranti meritevoli.

Primo: Osteria Du Casè, a Calice Ligure. Tre antipasti (tutti ottimi, dalla mousse di zucchine al tortino di pesce e carote, passando per il carpaccio con fondo di grana, sedano e mandorle tostate), due primi (buone le lasagne pomodoro e basilico, non eccezionali i ravioli con sugo di stracotto), due secondi (entrambi di carne: eccellente il roast beaf, discrete le quaglie, delicati i peperoni in agrodolce), dolce (pesche, con crema chantilly e una cialda al cioccolato fondente), caffé, digestivo: prezzo fisso, trenta euro. Gianluca, che serve ai tavoli e ha una faccia da buono vero, è un archeologo prestato, con successo, alla ristorazione. Ai fornelli c'è sua mamma che, riferisce Sara, è una donna dolcissima e se me l'avesse detto prima avrei chiesto di conoscere. Il luogo è incantevole, a mezza costa, con un terrazzo che in estate rende il locale speciale. Mi è piaciuto appena visto dov'era, ma di buon umore mi ha messo Gianluca quando m'ha detto che il vino lo fa suo zio, indicandomi la vigna poco distante.

Secondo: Osteria Loco, in centro a Pietra Ligure. Posto alla buona, di quelli che piacciono a me, con poche portate in menù (tipo tre antipasti, tre primi, tre secondi), specialità pesce e prezzi abbordabili (attorno ai sette euro gli antipasti; meno di dieci euro un primo; sui sedici euro un secondo). Io ho mangiato le acciughe fritte (ottime) e spaghetti alle vongole, che definire incantevoli è riduttivo. Ha detto bene Mauro, che insieme con Zoia ci ha fatto buona compagnia al tavolo: "Erano in perfetto equilibrio tra gusto, sapore e delicatezza".

Basta così, che a ripensarci mi viene l'acquolina.
Foto by Leonora

mercoledì 7 luglio 2010

Su per giù(sy)


Il cielo è azzurro sopra Berlino, ma non è male neanche visto da qui. M'infilo le cuffie dell'Ipod e tutto il mondo si riduce a questo schermo, bianco quanto un foglio che attende d'esser scritto. Penso alle cose che non ho mai fatto: andare in barca a vela, affittare un battello e navigar per fiumi in Olanda, passare qualche giorno in un'isola della Croazia avendo per casa un faro, salire sul Monte Bianco, metter piede in Sicilia, bere sotto una tenda in Marocco, visitare Gerusalemme, costruire una casa su un albero, ascoltare dal vivo Fossati, stare ad ascoltare per ore un reduce di Russia... Desideri in ordine sparso, alcuni attesi, altri scoperti soltanto adesso, con sorpresa anche per me stesso. Oggi bevevo il caffé con Magda, siamo capitati a parlare dei locali notturni e della sensazione di starci stretti, anzi di non starci affatto, ch'è passato il nostro tempo. E' realmente così oppure è una resa non richiesta quella che ci fa chiudere a guscio, alla ricerca di un'intimità che fa da contraltare alle luci elettriche, ai colori, al chiasso? Ricordo il disagio di quand'ero ragazzo e vedevo gente più vecchia frequentare la discoteca di turno: "Ma dai - pensavo - hai quarant'anni, cos'è che vai in giro, che sembri una rana con l'abito bianco". Ora quarant'anni li ho io, infatti ho pudore e contegno. Però ho simpatia per quelli che resistono, specie per gli arzilli vecchietti che di questi tempi non si perdono una festa di paese con ballo liscio. C'è una mia compagna delle scuole medie ch'è diventata una star del genere. Si chiamava Giuseppina Mercuri, ora Giusy Mercury, perché anche il nome vuole la sua parte e passando dal banco al palco non bisogna lasciar nulla al caso. Non è il mio genere e devo stare attento a non farne beffa, peccando di supponenza, ricordando che in ogni caso s'è ritagliata in questa vita uno spazio, facendo probabilmente qualcosa che le piace invece di un lavoro duro e mal pagato. Detto ciò, con tutto il rispetto, non la aggiungerò alla compilation dell'Ipod. Provare simpatia umana è un conto, esser masochisti un altro.


P.S. Uno dei ricordi che ho di Giuseppina riguarda il secondo o il terzo giorno di prima media. Avevamo un compagno alto e grosso quanto lo sono io adesso. Si chiamava Bartolomeo e evidentemente le aveva detto qualcosa di sconveniente, perché appena messo piede sul marciapiedi fu affrontato dal papà della ragazzina, un signore piccoletto ma che - senza dire né a né bé - affibiò al povero Bartolomeo uno schiaffone da stendere un toro. Da quel giorno Bartolomeo, nonostante la mole, non ci fece più paura, ma a Giuseppina nessuno di noi osò più rivolgere non dico parola, ma nemmeno uno sguardo. Semmai passasse di qua, forse non mi perdonerà il fatto che non apprezzo la sua musica, ma certo si farà una ragione del perché in tutti i tre anni di scuola non le ho quasi mai parlato.


Foto by Lyonora

martedì 6 luglio 2010

Il primo passo


Sono reduce da una pizza con David e Rossella, compagni di università e - pur a distanza - di vita. Una serata di ricordi e confidenze, come raramente mi capita. David lo nomino spesso, anche in questo blog. Rossella meno. E' forse la persona più sensibile che conosca e ha una dolcezza direttamente proporzionale alla complessità con cui si pone di fronte ai problemi, perciò mi ha fatto piacere oggi sentirla parlare di leggerezza e di vederla ridere, limpida, serena. Soprattutto ha fatto divertire noi, con i racconti di vacanze e di uomini ottusi, che non si sa come gli sono capitati tra i piedi, anche se non è tipo da dar corda e, seria com'è, bisogna proprio essere di coccio per scambiare la sua cortesia in porta aperta.

Tornando, da solo, in auto, pensavo che ciò che mi ero ripromesso venti giorni fa lo sto mantenendo: nelle ultime due settimane ho avuto o sono stato ospite di molte persone a cui tengo, godendo della reciproca presenza, del bene di una parola, un momento insieme, uno sguardo. Nulla allora è perduto, vane non sono state le parole e una volta individuato il sentiero, fissata la meta, davvero si può cambiare. E' una buona estate questa, anche se a casa mi salta spesso la mosca al naso e - proprio come il cielo di questi giorni d'afa e temporali - passo dal chiaro al buio, in un attimo. So ch'è sbagliato e metterne qua l'appunto, ammetterlo, è il primo passo per scavalcare il muro.
Foto by Leonora

venerdì 2 luglio 2010

Felici e contenti


Adoro il primo caldo di maggio e, in questi giorni d'afa, rimpiango novembre. Lo scrivo convinto, ma me ne pento subito, pensando che mi lamento troppo spesso e che se ho un buon carattere lo devo piuttosto alla capacità di vedere (quasi) sempre il bicchiere mezzo pieno. Una visione della vita che in certi momenti può diventare un gioco: un gioco serio.

Prendiamo oggi. Ieri sera ho finito di lavorare che erano già le undici, ma stamattina mi sono svegliato presto. La cosa "è avvenuta da sé naturalmente", senza sforzo, così ho un po' di tempo per me. Prima cosa positiva.

Guardo dalla finestra e nonostante siano le sette del mattino fuori è già un forno. Io dormo in mansarda ma, benedetti gli architetti Ghioldi e Ghirardello (i miei amici Anna e Roberto), grazie al tetto "areato" qui in casa è fresco. Seconda cosa positiva.

Essendo presto, ne approfitto per leggere qualche post dei blog che seguo più spesso. Fuma mi incuriosisce con la storia di un ramo spezzato, che "pigola", proprio come un uccello. Andrea mi fa sorridere, come sempre. Con l'altro Andrea invece rifletto proprio sulle fortune che ho, un concetto che Wilma mi aiuta a marchiarmi addosso a fuoco, anche se provo una fitta al cuore apprendendo che da giorni l'affligge un dolore ch'è come un cane che morde il braccio. Periartrite le ha detto il medico, "una malattia che si cura difficilmente e che colpisce soprattutto i quarantenni": e io che, come credo qualsiasi maschio adulto, propendo ad essere lievemente (lievemente?!?) ipocondriaco già sento un brivido freddo che sale lungo la spina dorsale, fino al collo. Terza cosa positiva: sto bene, non avverto dolore, sofferenza fisica. Domani chissà, ma oggi niente, così come ieri e ieri l'altro e quasi tutti i giorni della mia vita. Si fa presto a essere felici, penso. Sfido chiunque abbia mal di denti o i calcoli renali o qualsiasi altro fastidio fisico, anche meno lancinante, oppure una depressione psichica, a dire altrettanto: neppure un santo riuscirebbe. Incrociando le dita allora, consacro questa come la giornata della consapevolezza dello star bene, del ringraziamento e dello stupore perché ciò avviene, anche se viene naturale ritenerlo scontato, ma scontato non lo è.
Foto by Leonora